Educazione nazionale: dove andiamo? Perché e come ripensare la scuola?

Perché sviluppare questo tema e riflettere sui suoi vari aspetti? Ho partecipato di recente ad alcuni incontri su questo argomento e ne ho tratto alcune considerazioni che possono essere utili per ripensare la nostra azione per i giovani oggi e per le azioni progettate per il loro sviluppo nella società attuale.

La Scuola è la fucina dello sviluppo delle persone, della loro personalità, delle prime esperienze sociali, getta le fondamenta per la loro capacità/libertà di pensare, per interpretare la realtà e contribuire alla creazione del loro futuro.

Non basta insegnare le pratiche, bisogna anche saperne dare prova e dimostrazione nelle azioni concrete e nei metodi usati. E’ necessario riuscire a trasmettere i valori, ossia il “senso” della società e della nostra cultura, e questo sia con le interpretazioni che con le azioni.

Alain Tourain, noto sociologo a livello internazionale, afferma che stiamo uscendo dalla società industriale ma che quello attuale è il periodo di silenzio più lungo della nostra storia, un silenzio del pensiero e della creatività. Noi esseri umani per poter capire dobbiamo avere una “visione storica di noi stessi”, sia a livello individuale che sociale, e per far questo è necessaria una visione ampia che ci consenta delle interpretazioni.

All’inizio dell’800 l’Università Humboldt di Berlino promosse il collegamento fra la ricerca e l’insegnamento e quindi, la libertà di ricerca e di studio fu lasciata ad ogni studente secondo la sua volontà e le proprie esigenze di sviluppo personale; ciò ha promosso una grande passione per l’universalismo.

La verità è che abbiamo bisogno di muoverci in base ad una teoria della società: il fenomeno fondamentale è che siamo usciti dalla società della produzione e comunicazione ed oggi il potere sociale si esercita più che altro sulle rappresentazioni, sulle scelte, sulle decisioni e modi di vivere, è un potere esercitato sul mondo della soggettività; ma noi abbiamo bisogno di opporre una visione “totale”, non totalitaria.

Dobbiamo rimettere in causa l’insieme dell’esperienza umana, fondata sull’interpretazione dell’esistenza: l’essere umano come unità capace di creatività e capace di associare gli atti ai significati. Quindi, più l’insegnamento è astratto e generale e più trasmette ineguaglianze sociali, mentre l’educazione deve essere orientata a diminuire le disuguaglianze o meglio a capire il significato delle differenze.

Oggi si constata che sono aumentate le disuguaglianze; quindi, diventa fondamentale pensare l’essere umano in relazione ai suoi valori ed etica, è indispensabile per orientarsi avere una rappresentazione di sé, un’idea di se stessi, conoscere il senso di quello che facciamo, possiamo e vogliamo. In sintesi: è necessario rifondare e ritrovare il senso della vita attuale ed il focus deve essere sul nostro pensiero che guida le azioni.

Se l’educazione deve portare a saper vivere nella società, insegnare a leggere e scrivere va bene, ma non basta; la scuola deve essere anche un possibile “ascensore sociale”. C’è competizione, selezione, ma ci deve essere qualità dell’insegnamento e formazione continua per gli insegnanti. Il problema dell’apprendimento richiama anche l’avvicinamento delle imprese alla scuola (ad esempio in Germania hanno raggiunto risultati molto migliori nel rapporto fra scuola ed impresa) perché la scuola è al servizio della società, dovrebbe essere reattiva e capace di auto-progettarsi; e c’è anche la necessità di occuparsi del livello primario da 1 a 4 anni.

Ci vuole quindi centralizzazione ed autonomia, un’equipe che crei un’azione pedagogica, la capacità di tracciare un percorso di sviluppo condiviso, insegnare il rapporto fra parole e scrittura, insegnare il coraggio di pensare. Dove risiede l’inibizione a pensare? In che modo oggi con i nuovi mezzi tecnologici e stili di comunicazione sociale, viene esercitata questa inibizione? Bisogna distinguere il diritto alla formazione dal diritto all’informazione.

La Storia viene spesso manipolata a proprio uso e consumo in vari contesti, c’è molta incultura, c’è una vera negazione della storia. Che sia Greco, Ebreo o Cristiano, l’umanesimo non è “un sistema “ ma un grande ed elaborato pensiero su Dio, l’uomo ed i suoi valori. Oggi ci manca il linguaggio necessario, il discorso politico e di comunicazione della civiltà.

Nel multiculturalismo democratico l’identità uomo/donna non è negoziabile, oggi vengono professate delle ideologie e l’umanesimo non deve diventare una ideologia. Abbiamo ridotto la religione ad un arcaismo che sopravvive, con la separazione fra politico/giuridico e religioso, la ragione politica di fatto ha sostituito la teologia.

Con i valori della Repubblica e dell’illuminismo, al posto della teologia arriva l’ideologia; non a caso la psicoanalisi ha avuto un posto centrale per la ricostruzione dell’umano a causa della “crisi esistenziale”. Le scienze umane non hanno sottostimato il sacro ma solo la psicoanalisi ci permette di rivolgerci all’intimo. Se leggiamo la storia umana come luogo di un transfert dell’umanità, possiamo vedere l’evoluzione della malattia sociale che implica i suoi membri.

Levinas e Lacan ci parlano del bisogno di credere e sapere, mentre oggi spesso i valori umanistici sono stati ridotti a schemi ideologici. Non dimentichiamo che per poter fare delle alleanze c’è la necessità di una reciprocità d’investimento.

La psicologia dell’adolescente sofferente ci fa capire che la perdita di sé produce in lui l’odio dell’altro sentito come persecutorio e la voglia di distruggerlo. Per affrontare le malattie croniche ci vogliono competenze di autocura, e cambia il rapporto fra colui che deve curare ed il paziente. Bisogna saper legare le conoscenze cognitive con le proprie esperienze vissute, solo così le competenze diventano apprendimenti psicosociali del contesto.

C’è un rapporto diretto fra il Potere e l’Educazione, fra le società ed i loro metodi educativi: la maniera di pensare, di vivere, di entrare in relazione. Bisogna imparare a prendere il proprio posto, a mettere in gioco i limiti, saper leggere fra le righe, affrontare la propria passione, trasmettere ciò al quale si tiene, apprendere a vivere la libertà di passare da un legame ad un altro.

“Il professore” esiste fra la passione della sua materia e quella di trasmetterla ed anche il cittadino responsabile e partecipe esiste fra l’istituzione e la sua passione di testimoniare ed agire i suoi valori di riferimento.