Una trama complessa: emozioni e realtà

In previsione del seminario “Individuo, gruppo, organizzazione: elementi distintivi ed interrelazioni” può essere utile chiarire alcuni aspetti relativi alla scelta di sviluppare tale tema.

Avendo vissuto per molti anni in diverse organizzazioni ed avendo partecipato a svariati gruppi, con appartenenze più o meno prolungate, ho avuto modo di osservare in me stessa e negli altri una fittissima rete di interrelazioni fra disparati fattori: alcuni specifici della situazione di gruppo ed organizzativa, altri comuni. Alcune correnti di psicologia, più di altre, sottolineano come lo sviluppo della mente di ciascuno di noi abbia una matrice relazionale: di fatto, anche nel caso di una nascita in laboratorio ed in una provetta, c’è sempre una intenzionalità iniziale che ci origina, altrimenti non ci saremmo. Può essere una intenzionalità non direttamente riconducibile al nostro concepimento, ma in ogni caso c’era prima un desiderio appartenente a qualcun altro. Una volta nel mondo, sicuramente una serie di persone ci sono state vicino, almeno quel tanto da permetterci di sopravvivere fisicamente. La nostra nascita mentale è molto più complessa, non è facilmente identificabile con quella biologica. Quando dico “nascita mentale” mi riferisco ad un inizio di consapevolezza di chi siamo noi veramente, di quali sono gli elementi che ci identificano nella nostra specificità unica e personale. Sappiamo della condizione di dipendenza totale dagli altri nei primi anni della nostra vita, come pure di come lentamente si prenda coscienza della propria separatezza del nostro corpo fisico rispetto agli altri.

Ma quanto è complesso il percorso per tracciare i confini riguardanti il nostro spazio interiore, la nostra individualità. Abbiamo un nome, scelto da altri, abbiamo a che fare con le aspettative…di chi c’era prima di noi, desideri su di noi con i quali dobbiamo fare i conti. All’inizio, le persone che ci circondano sono il nostro specchio e da questo apprendiamo chi siamo. Le loro azioni, i loro pensieri, le loro emozioni sedimentano in noi il limo che nutrirà lo sviluppo successivo. La memoria consapevole (e non solo quella consapevole) costituiscono un potentissimo filtro per tutte le esperienze che viviamo in seguito, un filtro che verrà ulteriormente modificato nel tempo. Che cosa percepiamo? E’ una domanda che si sono posti molti filosofi in diverse epoche, già Kant affermava che non era possibile conoscere le cose nella loro vera essenza, le cose per sé stesse. La Gestalt ha studiato a fondo i fenomeni percettivi, dalle forme più semplici a quelle più complesse. La psicoanalisi ci ha fatto capire quanto misera sia la nostra consapevolezza (un iceberg di cui la parte emersa è pari al 10% del tutto) rispetto alla rimanente parte inconscia, che non conosciamo ma che c’è e che determina pesantemente la nostra realtà personale, quindi anche le nostre relazioni con gli altri.

Ma come? Che cos’è questo filtro che condiziona l’immagine di tutto quello che percepiamo? Nel lavoro di psicoterapia ci confrontiamo sempre con questi filtri, sia i nostri che quelli dei nostri pazienti: si tratta delle emozioni, di quello che proviamo, di cui crediamo di conoscere molto di più di quanto non sia in realtà. Come le possiamo incontrare? Vedere?

Se in una stanza si diffonde un gas inodore ed incolore, ma velenoso…purtroppo dopo un po’ gli effetti si vedranno e non avremo avuto modo neanche di metterci in salvo. Ma se io riesco a dare un corpo a questo gas, per esempio riesco a colorarlo, allora si che potrei vederlo se è presente. Le nostre emozioni sono come un gas incolore e dobbiamo riuscire in qualche modo a parlarci di loro. Le fantasie, le immagini, i sogni, le storie, sono tutti modi per vestire queste emozioni, spoglie nelle quali esse si camuffano per manifestarsi a noi. Quindi, le nostre emozioni sono quelle che illuminano e danno i colori a quanto riusciamo a percepire e che attribuiscono significato a quanto cogliamo. Le nostre emozioni si sono manifestate in relazione a degli stimoli forniti dalla presenza degli altri e di quello che abbiamo vissuto. In tal senso il soggettivo contiene molto degli altri, noi risuoniamo rispetto alle emozioni degli altri. Cogliere e tradurre questa fitta rete in contenuti dicibili, usando il linguaggio, ci consente di distanziarci dal sentito, di filtrarlo, di gestirlo in qualche modo in maniera da controllarlo un po’. Infatti, le emozioni incise in noi nel periodo preverbale sono particolarmente potenti in termini di influenzamento e difficilmente esprimibili in modo consapevole. Possiamo immaginarci quanti diversi livelli di percezione delle cose e delle situazioni ci sono in quanto sperimentiamo nella nostra vita con gli altri. E’ vero che nel qui ed ora mi trovo per esempio in un gruppo di lavoro, in un determinato contesto reale, ma al tempo stesso che cosa sto percependo in quello che accade, in quello che sento, in come posso pensare gli altri che sono come me. Anche in età adulta gli altri possono essere specchi, ma che cosa si riflette in loro di me, che cosa colgo?

C’è molta inconsapevolezza, ignoranza, nel modo in cui si affidano persone da gestire nel mondo del lavoro. Le tecniche di PNL cercano di dare istruzioni indicative su come fare a controllare i contenuti della nostra mente che ci influenzano, e questo è già un tentativo che può essere utile. La situazione gruppale è un detonatore per tanti aspetti ed è quindi uno strumento molto potente per produrre dei cambiamenti e per influenzare i singoli, ma bisogna conoscere le sue caratteristiche.

Questa complessità aumenta se guardiamo ad una organizzazione nel suo insieme. Ma anche un gruppo, anche una organizzazione, hanno una storia personale, un inizio con cui confrontarsi, dei conflitti, delle emozioni, delle difese, aspetti consapevoli ed altri inconsci. Gli strumenti che possiamo affinare ci possono servire ad entrare in un contatto più profondo ed a capire di più.