Il transumanesimo della nostra società

Il Transumanesimo è un argomento attualmente di primo piano come testimoniano i numerosi dibattiti sulla stampa, la televisione ed anche la pubblicazione di numerosi libri che parlano di vera e propria rivoluzione “transumanista.

Si tratta di una corrente di pensiero principalmente anglosassone ai primordi ma che oramai sta coinvolgendo tutto il mondo. Per questo credo possa essere utile riflettere sui contributi principali che ci vengono offerti dai congressi su questo tema e da alcuni autori/professionisti, come il medico psichiatra Jean-François Allilaire. Pertanto proverò a tenervi informanti sugli sviluppi relativi a questo tema.

Il pensiero transumanista afferma essere auspicabile migliorare l’Uomo come essere umano e migliorare le sue capacità grazie a tutti i mezzi tecnologici che si sono sviluppati in seguito al progresso scientifico degli ultimi 50 anni.

Il termine utilizzato in inglese per indicare l’obiettivo è “human enhancement”: termine che può avere diverse traduzioni come valorizzare, aumentare, ottimizzare, rinforzare.

Di che si tratta? Si tratta di ottimizzare l’individuo, la natura umana, lo spazio umano, la condizione umana?

Al momento si tratta in effetti di aumentare le capacità umane, sia che si tratti di potenziare delle performance come con il doping, migliorare l’umore, la forza, l’efficacia ma anche la resistenza alle malattie, all’invecchiamento, ecc.

Il dibattito su questo tema è vivace, ed alimenta un’accesa discussione tra i tradizionalisti ed i moderni” e con un appello alla medicina chiedendole di assumersi degli obiettivi che vanno al di là delle sue funzioni tradizionali.

Estremizzando, i suoi obiettivi consistono nel proteggere la salute della specie umana, nel saperla perfezionare, potenziare, rinforzare con tutto ciò che influenza sia la salute che le capacità dell’Uomo.

Si tratterebbe quindi per la medicina di non limitarsi più solo a curare, correggere e proteggere i malati ma di perfezionare la loro resistenza, le loro attitudini, la loro intelligenza e nell’insieme il loro benessere.

Bisogna sottolineare qui che la definizione completa della salute data dall’OMS dal 1946 :

“uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e che non consiste soltanto in una assenza di malattia o infermità”

può portare l’opinione pubblica a considerare che limitarsi a curare le malattie non può e non deve più costituire un obiettivo sufficiente per la medicina dei nostri giorni ed è proprio ciò che porta alla necessità attuale di questo dibattito, come pure all’obbligo per la medicina di riflettere su questo tema in modo approfondito e di pronunciarsi al riguardo.

I problemi sollevati rivelano un dibattito molto più esteso del solo contesto medico, comprendendo gli aspetti sociali e politici.

Possiamo individuare due posizioni schematiche al riguardo:

“i bio-conservatori” ed i “bio-progressisti”.

Per questi ultimi la medicina non deve più limitarsi a curare i malati, infatti alcune pratiche mediche vanno di già ben oltre; deve porsi non soltanto come una “cura terapeutica” ma anche come un’impresa di miglioramento di tutte le capacità della persona in particolare delle sue prestazioni e della sua longevità.

Vediamo quindi fronteggiarsi i pionieri di una vera rivoluzione biotecnologica, qualsiasi possano essere le conseguenze etiche, economiche o sociali, con coloro che ritengono che l’evoluzione delle specie che ci ha portato dalla comparsa della vita fino alla nostra specie costituisce un miracolo della natura che noi dobbiamo ammirare, rispettare e proteggere.

I progressisti pensano che sia il Caso e la necessità che hanno permesso una serie di eventi biologici che hanno portato fino a noi, e ciò spiegherebbe il carattere imperfetto della nostra specie e di conseguenza ci autorizzerebbero, secondo il principio rischi/benefici, alla ricerca di un perfezionamento della nostra specie che secondo loro ne avrebbe molto bisogno.

La considerazione del rischio riguardo ai benefici attesi è la questione principale, sopratutto quando si fa il parallelo fra le scoperte sull’atomo che conducono alle armi nucleari ed il rischio di scomparsa che incombe sull’umanità a partire dal 1945, e le scoperte nell’ambito delle NBIC (Nano, bio, info, cognitive-sciences) a partire dagli anni 1960 ed il rischio che farebbero correre all’umanità queste scienze che potrebbero sfociare nella creazione di robots o mostri suscettibili di poter scappare al controllo dei loro creatori.

Bisogna notare che sono le sinergie sviluppatesi fra queste nuove scienze che creano un cambiamento tecnico-scientifico eccezionale ed impressionante quando se ne misura la potenza comparata con i limiti dell’umano, ed è questo che ne fa potenzialmente una rivoluzione.

In effetti ogni singolo ambito possiede nel suo campo particolare una potenza di sviluppo importante paragonata ai mezzi scientifici di cui l’umanità ha usufruito fino ad oggi, sia che si tratti di nanotecnologie di cui già si conoscono alcune applicazioni in medicina, quella della potenza di calcolo informatico di cui si conosce la stupefacente capacità di sfruttare i “big data” per estrarre nuove conoscenze in numerosi campi, o anche la potenza delle scienze cognitive che permettono, grazie ad un accoppiamento con le immagini, di penetrare e comprendere meglio i meccanismi di funzionamento cerebrale e la stupefacente capacità del cervello umano per il trattamento delle percezioni e delle conoscenze in generale.

Se si tenta di valutare l’impatto di questi cambiamenti sulla nostra medicina attuale, si può dire che mentre prima l’obiettivo principale del medico era la cura, con la doppia valenza ben espressa in lingua inglese da “care (prendersi cura)” e “cure (guarire)”; il suo riferimento era il modello patologico, ed anche anatomo-patologico; il suo esercizio consisteva in una clinica individuale con la sua dimensione relazionale complessa e mediata dal linguaggio; considerava che “la salute è il silenzio degli organi” ed il medico doveva comportarsi e considerarsi come il responsabile della salute dei suoi pazienti e proporgli in modo appropriato ciò che si può chiamare “la cura giusta”.

Oggi sempre più si tratta per il medico di riparare, rimpiazzare, ottimizzare; il modello di riferimento che s’impone al senso comune è quello del Guasto tecnico (burn-out, crollo nervoso…); la pratica sarebbe sempre meno fondata sulla clinica e lo scambio verbale relazionale, ma sempre di più sul para-clinico, i bio marcatori, ed i contributi numerici.

In questo contesto il medico diventerebbe sempre di più un esperto, garante del benessere o riparatore dei malfunzionamenti il cui esito dipende dall’analisi degli aspetti connessi ai determinanti della salute e del benessere individuale e collettivo.

Si sta passando sempre di più dalla posizione di Ippocrate che aveva come obiettivo di ristabilire fra l’uomo e la natura l’armonia turbata dalla malattia, alla posizione di Prometeo che cerca di aiutare gli umani ad impadronirsi del fuoco alle spalle degli Dei, cioè di certi poteri riservati agli Dei, per restituirgli ciò di cui li aveva privati l’imprevidenza di Epimeteo che ha dilapidato tutti i talenti sfuggiti dalla borsa di Pandora tranne la Speranza.

Ancora un po’ e si tratterà di sostituirsi all’evoluzione della specie e prenderne il controllo per tentare di fare dell’umano una entità liberata dai limiti che sono la malattia, la vecchiaia e la morte e di farne una sorta di post umano, di post sapiens.