Noi ed il nostro futuro

Come desideriamo costruire il nostro futuro?

Giorgio Agamben (filosofo Italiano del 1942) in un suo articolo molto interessante “Se la feroce religione del denaro divora il futuro”, ci dice: “Senza fede o fiducia non è possibile il futuro, c’è futuro solo se possiamo sperare o credere in qualche cosa”.

La fede è la sostanza delle cose sperate, è ciò che dà realtà a ciò che non esiste ancora ma in cui crediamo ed abbiamo fiducia. Quindi, il futuro esiste nella misura in cui la nostra fede riesce a dare sostanza, cioè a dare una realtà alle nostre speranze. Dal momento che oggi il potere finanziario in Italia ed in Europa ha sequestrato tutta la fede e tutto il futuro, solo cercando di capire come ciò sia potuto avvenire e riprendendoci il nostro credito ed il nostro futuro, sarà possibile ritrovare la nostra libertà.

Mi è venuto immediatamente da associare queste affermazioni a quanto tratta Massimo Recalcati nel suo splendido libro “Ritratti del desiderio”, rifacendosi al pensiero del suo maestro Jacques Lacan a proposito delle varie sfaccettature del desiderio. Premesso che il desiderio, connaturato all’uomo, scaturisce dal senso di mancanza ed incompletezza, qui mi riferisco in particolare al “desiderio dell’altrove”. Recalcati distingue fra il desiderio di godimento, che in realtà non desidera niente ma solo qualche cosa d’altro che perde immediatamente attrattiva nel momento stesso che si possiede, ed il “desiderio dell’altrove”, che non è più il desiderio come rinvio infinito ed infelice da un oggetto ad un altro, bensì è il desiderio di apertura verso l’Altrove…. come trascendenza, invocazione di un’altra possibilità rispetto a quella offerta dalla realtà presente.

Il “desiderio dell’altrove” si fonda su una decisione soggettiva, è una spinta a sollevare l’esistenza dal gorgo della ripetizione, è rapporto con l’infinito, con la preghiera, ma anche attesa, rivolta e a volte.. noia. L’attesa suggerisce la speranza e la promessa che vi sia un avvenire possibile, che non tutto sia già scritto, che ci sia la possibilità di un orizzonte diverso del mondo, andando oltre il peso del passato e l’immediatezza del presente.

La rivolta segna proprio una rottura con l’esistente, rende reale l’Altrove nella critica nei confronti dell’esistente; invoca il cambiamento, la trasformazione dell’esistente ed esprime volontà di giustizia, non passività, assunzione attiva del proprio desiderio. Potremmo dire “responsabilità” personale nell’assumerci un ruolo d’impegno attivo nella società civile”, prendendo parte, come Gramsci già nella prima parte del secolo scorso ci ha insegnato. (Gli indifferenti 1917).

Come vogliamo interpretare il notevole astensionismo dal voto collettivo di oggi nella nostra società? Veramente è un astensione di protesta? Oppure siamo ancora davanti ad un’indifferenza civile pericolosa? Mi sembra che entrambi evidenzino come sia necessario ripensare a come vogliamo “esserci” e che cosa vorremmo ottenere e che questi interrogativi siano attinenti e doverose anche alla nostra scelta in quanto persone.